Borderlands 4 – Il ritorno in grande stile di una saga dimenticata
Una rinascita, non un semplice sequel
Borderlands 4 non è soltanto il quarto capitolo numerato di una saga che per anni ha oscillato tra il genio e la parodia di sé stessa. È un titolo che suona come una rinascita, un ritorno all’essenza originaria del brand, quell’equilibrio tra ironia corrosiva e dramma sotterraneo che aveva reso il primo episodio un cult indimenticabile. Dopo il passo falso di Borderlands 3, schiacciato dal peso di un umorismo insistito e di villain caricaturali incapaci di reggere la scena, la serie ritrova qui la sua dignità. È un ritorno alla forma, un atto di consapevolezza che decide di tagliare il superfluo e rilanciare le carte vincenti del passato con una maturità che prima mancava.
Il risultato è sorprendente: un titolo che sembra voler ricordare a tutti perché la saga di Gearbox aveva conquistato milioni di giocatori e perché meritava di sopravvivere in un mercato che cambia rapidamente. In questo senso, chi sceglierà di acquista giochi per PS5 e mettere le mani su Borderlands 4 troverà non un capitolo in più, ma la dimostrazione che il brand può ancora dire qualcosa di rilevante.
L’addio al culto del meme
Uno dei limiti più imbarazzanti di Borderlands 3 era stato il crollo della scrittura. Una pioggia di battute che scivolavano nel meme, villain che parevano versioni annacquate di streamer urlanti, e un ritmo narrativo appesantito da “colpi di scena” prevedibili, come la morte di personaggi principali gestita con fretta e senza impatto reale. Borderlands 4 spazza via tutto questo con una scelta chiara: il tono rimane irriverente, ma non è mai gratuito.
La comicità ritorna a essere tagliente e funzionale, una lama che alleggerisce senza svilire. L’umorismo non invade ogni scena, non sovrasta la storia, ma si intreccia con essa. I villain, finalmente, hanno spessore. Non sono macchiette, ma figure memorabili che incarnano temi di potere, ossessione e follia. Sono minacce reali, capaci di farsi odiare senza dover gridare a ogni comparsa.
Il gioco evita le scorciatoie emotive, come la “morte shock”, e preferisce costruire tensione attraverso relazioni e tradimenti più sottili. È la dimostrazione che la serie ha finalmente capito che la scrittura non è un accessorio, ma il motore stesso della sua identità.
Una narrativa raffinata
Il tono di Borderlands 4 si avvicina a quello del primo capitolo: più cupo, più essenziale, ma sempre attraversato da lampi di umorismo caustico. È la miscela perfetta tra il dramma e la satira, una combinazione che Gearbox non riusciva più a centrare da anni. Ogni missione principale sembra scritta con una cura che ricorda i tempi in cui la saga era davvero innovativa, e i dialoghi secondari non sono riempitivi, ma occasioni per caratterizzare meglio il mondo di gioco.
La scrittura mostra un coraggio nuovo: non ha paura di affrontare temi più maturi, né di ridere di sé stessa. È un equilibrio raro, quello tra serietà e ironia, ma qui funziona perché è governato da un’intenzione precisa. Il risultato è una narrazione che cattura, sorprende e diverte senza mai cadere nella parodia.
Un confronto utile è con Elden Ring: Shadow of the Erdtree. Lì la scrittura si concentra sull’enigma, sulla suggestione criptica, costringendo il giocatore a interpretare. Borderlands 4, invece, preferisce la chiarezza: vuole che ogni battuta, ogni rivelazione arrivi dritta, senza filtri. Sono due approcci opposti, ma che mostrano come il medium possa brillare tanto nella complessità oscura quanto nella trasparenza tagliente.
Il pianeta Kairos: un mondo unico, non un mosaico dispersivo
La scelta più audace di Borderlands 4 è l’abbandono del viaggio interplanetario introdotto nel terzo capitolo. Dimenticate la galassia spezzettata in pianeti discontinui: qui c’è un’unica ambientazione, il pianeta Kairos. Ed è una decisione vincente.
Kairos è enorme, ma non dispersivo. È un pianeta che si apre interamente fin dalle prime ore, permettendo una libertà esplorativa totale, ma sempre dentro un contesto coeso e riconoscibile. Ogni bioma, ogni regione, è costruita per essere densa di dettagli, eventi e storie, non per gonfiare la durata. Il senso di unità geografica restituisce al giocatore la sensazione di un vero mondo vivo, qualcosa che Borderlands 3 non era riuscito a offrire con i suoi pianeti scollegati e ripetitivi.
La coerenza dell’ambientazione non riduce la varietà: deserti polverosi, città decadenti, foreste aliene e catacombe sotterranee convivono senza sembrare artificiosi. Kairos non è un contenitore di livelli, ma un organismo che respira.
Una serie che impara dai suoi errori
Borderlands 4 non sarebbe così convincente se non avesse fatto tesoro degli errori dei capitoli precedenti. È un titolo che ascolta, che osserva il passato e decide cosa tagliare e cosa esaltare. In questo senso, la sua riuscita è un manifesto di maturità, raro per una serie arrivata al quarto episodio.
Non c’è più la fretta di sorprendere con effetti speciali. Non c’è più l’ansia di correre dietro alle mode del momento. C’è una scrittura sicura, un mondo denso, villain memorabili e un gameplay che affina piuttosto che stravolgere.
Il paragone con altre saghe è inevitabile. Dove molti franchise al quarto capitolo perdono identità o si appiattiscono sull’imitazione, Borderlands 4 sceglie il contrario: ridefinirsi. È lo stesso coraggio che si ritrova in giochi ambiziosi e autoriali come Clair Obscur, e non sorprende che molti giocatori decidano di acquista Clair Obscur: Expedition 33 proprio per cercare esperienze altrettanto raffinate.
Conclusione: il ritorno del peso narrativo
In definitiva, Borderlands 4 non è soltanto un grande shooter looter, ma un titolo che riesce a restituire dignità a un’intera saga. La sua forza è la capacità di bilanciare: la scrittura è matura senza perdere ironia, l’ambientazione è vasta senza disperdersi, i villain sono memorabili senza diventare caricature.
È un gioco che non teme di tornare indietro per andare avanti, che capisce che la grandezza non si misura in pianeti visitabili o in meme da social, ma nella coerenza e nella densità di ciò che racconta. Dopo anni di incertezze, la saga di Gearbox dimostra di avere ancora voce, e una voce potente.
Chi ama i videogiochi capaci di sorprendere con la scrittura e non solo con il loot dovrebbe concedergli spazio. Perché Borderlands 4 non è semplicemente il sequel che ci si aspettava: è il capitolo che riporta la saga al suo posto, tra le opere che meritano di essere ricordate.





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